Magda Bienko si presenta

Magda Bienko arriva in HT dallo Science For Life Laboratory del Karolinska Institute di Stoccolma, in Svezia, dove ha guidato il suo gruppo di ricerca per gli ultimi sette anni in qualità di SciLifeLab Fellow. Magda ha completato il suo post dottorato con Alexander van Oudenaarden al MIT di Boston e il suo dottorato con Ivan Dikic alla Goethe University di Francoforte in Germania dopo una laurea in Biotecnologie conseguita presso la Jagiellonian University di Cracovia in Polonia.

Magda arriverà in HT ad agosto 2022, ma sta già lavorando alla costruzione del suo dream team, in cui scienziati provenienti da discipline diverse lavorano insieme a progetti ricerca interdisciplinari.

Hai sempre saputo di voler diventare una scienziata?

Oh si! Fin da bambina ho sempre saputo di voler diventare una scienziata, la biologia è sempre stata la mia passione. A dire la verità, non ho mai preso in considerazione un’altra direzione. Quando ero alle elementari ho letto la biografia di Alexander Fleming, ho capito che era fatta – sapevo cosa volevo fare. All’epoca partecipai anche alle Olimpiadi della Biologia e con i primi risparmi mi sono comprata un microscopio russo rosso. La mia grande passione per la biologia molecolare è cresciuta durante gli anni del liceo, grazie anche ad un eccellente professore di chimica che mi ha fatto scoprire il meraviglioso mondo della chimica organica e delle molecole della vita. È stato in quel momento che mi sono innamorata del DNA, che oggi – a distanza di tanti anni – è al cuore della mia attività di ricerca.

Di cosa ti occuperai al Centro di Genomica?

La biologia del DNA è la mia passione e ad HT continuerò a lavorare su questa molecola affascinante che non smette mai di stupirmi. Sono molto interessata a capire come il DNA riesca ad essere confezionato all’interno di ciascuna delle nostre minuscole cellule, e cosa succede quando questo processo va storto. Per darvi un’idea, il nostro corpo ha circa 40 trilioni di cellule e ciascuna di queste ha un nucleo il cui diametro è centomila volte più piccolo di un metro, in cui sono stipati due metri di DNA. Non è grandioso? Nel corso dell’ultimo decennio abbiamo assistito a un’esplosione di tecnologie che per la prima volta ci hanno permesso di studiare come funziona questo confezionamento, da scale molto piccole fino al livello dell’intero complemento di cromosomi nel nucleo. Grazie a queste tecnologie possiamo comprendere in modo sempre più approfondito come il DNA si pieghi in strutture ben definite e come questo influisca sulla funzione del nostro genoma. Il prossimo passo è cercare di comprendere come altre molecole, per esempio l’RNA o le proteine, contribuiscano a questa straordinaria architettura e come le interferenze nell’organizzazione tridimensionale del genoma nel nucleo possano portare a malattie importanti come il cancro e le malattie neurodegenerative. Per fare questo abbiamo bisogno di sviluppare nuove tecniche in grado di esaminare più aspetti dell’organizzazione del genoma contemporaneamente, in migliaia di singole cellule di tessuti sani e malati. Questo sarà il cuore della mia ricerca presso il Centro di Genomica di HT.

Raccontaci qualcosa di più sulla tua ricerca. Qual è l’aspetto che ritieni più affascinante?

Studio come il genoma è organizzato all’interno del nucleo delle cellule e come questo sia fondamentale per il loro corretto funzionamento. Per esempio, sapevate che è grazie al modo in cui il genoma è piegato in 3D che gli animali notturni riescono a vedere al buio? O che la disposizione spaziale 3D del genoma è fondamentale per la nostra capacità di annusare? Queste sono le scoperte che mi affascinano e credo che ad oggi abbiamo toccato solo la punta dell’iceberg nella nostra ricerca per comprendere le implicazioni funzionali dell’organizzazione del genoma 3D. L’organizzazione del genoma in 3D aggiunge un ulteriore livello di complessità al modo in cui leggiamo il codice genetico. Questo può disorientarci, ma è anche estremamente affascinante. Fortunatamente, non sono una persona che si lascia sopraffare facilmente. La prendo come un’opportunità per mettere in pratica la mia curiosità e le mie competenze e aiutarci a comprendere sempre meglio i misteri racchiusi nella disposizione spaziale del nostro genoma e della cromatina nel nucleo.

Qual è l’aspetto più affascinante del lavoro di ricercatore? Essere continuamente esposto a nuovi concetti e nuove idee e avere la possibilità di interagire con persone con profili scientifici e culturali diversi. Si può imparare moltissimo dal modo in cui diverse persone si approcciano ad uno stesso problema, come osservano il fenomeno da punti di vista diversi e come riescono ad arrivare alla stessa soluzione da direzioni diverse. Per questo ritengo che essere una ricercatrice mi renda anche una cittadina migliore nel mondo complicato di oggi, perché ho imparato a rispettare e dare valore a punti di vista diversi e a collaborare con gli altri per risolvere problemi difficili.

Come sei venuta a conoscenza di HT e cosa ti ha spinto a fare domanda?

Mio marito è italiano quindi ho scoperto da lui qualche anno fa i progetti per costruire HT nell’ex area EXPO. Ma non ho mai pensato seriamente ad HT fino a che non ho saputo del Centro di Genomica e della visione di rendere HT un hub per la ricerca e le tecnologie genomiche in Italia. Credo che l’Italia debba rafforzare la propria visibilità nel panorama della ricerca genomica internazionale e HT rappresenta un’ottima opportunità in questo senso. In particolare, nel campo della genomica spaziale, ovvero la mia area di ricerca, l’Italia è ancora sottorappresentata nonostante il lavoro eccellente di gruppi di ricerca attivi in questo campo. Unirsi ad un istituto nato da poco è ovviamente un rischio, ma anche una grande opportunità perché mi permette di contribuire a formare la visione dell’istituto e la sua attività di ricerca nei prossimi anni. Mi piace molto l’idea di essere insieme a persone con cui non ho mai lavorato prima, piene di energia creativa, dove possono nascere nuove collaborazioni che portano a direzioni di ricerca inaspettate. Infine, son felice di vedere che HT si sta sviluppando come un istituto veramente internazionale, con un Direttore straniero e tanti ricercatori stranieri – come la sottoscritta – attualmente in arrivo. Credo che la diversità culturale sia un fattore cruciale per promuovere l’eccellenza scientifica e sono molto contenta di vedere che HT si sta strutturando con un hub di ricerca internazionale e culturalmente ricco.

La ricerca può avere molti alti e bassi: grandi successi ma anche momenti di sconforto. Come ti tieni motivata?

Fare ricerca è un po’ come correre una maratona – serve molta pazienza e resistenza per gestire gli esperimenti che falliscono o che non portano i risultati sperati. Io sono fortunata perché sono una persona estremamente paziente e molto determinata nel far funzionare le cose anche se questo richiede molte prove, errori e gestione dei problemi. Devo dire che dopo molti anni in questo meraviglioso lavoro, ho sviluppato una buona intuizione nel capire se valga la pena insistere su un esperimento dopo i primi tentativi falliti. In questo modo posso motivare i miei studenti o post-dottorandi nel continuare a impegnarsi in esperimenti che ritengo abbiano delle buone chance di riuscita, ovviamente con la giusta dose di tempo e pazienza. A volte, tuttavia, un percorso di ricerca si dimostra molto più difficile del previsto. In questo caso quello che differenzia un ricercatore più maturo da uno con meno esperienza è la capacità di interrompere questo genere di progetti prima che si prolunghino troppo. Terminare un progetto è ovviamente molto difficile, ma a volte è inevitabile e dopo una prima fase di “depressione”, vedi che le persone riescono a entusiasmarsi nuovamente e sono pronte a dedicarsi a un nuovo percorso. Questo è il modo in cui funziona la ricerca e sono molto felice di vedere che dopo 18 anni di esperienza in questo campo, riesco a gestire le fasi di alti e bassi come qualcosa di molto naturale, senza preoccuparmene troppo.

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